Ci sono immagini diventate virali, che sono diventate il simbolo della lotta contro un evoluzione sbagliata, l’evoluzione nell’era della plastica.
Un sacchetto di plastica non biodegradabile impiega tra i 100 e i 1000 anni per decomporsi, il polistirolo almeno 1000 anni e una bottiglia di plastica non si decomporrà mai completamente.
A rimetterci di più, nel breve periodo almeno, sono i nostri mari, gli oceani e tutti gli animali marini.
Le immagini divenute virali
Simbolo della lotta contro la plastica e della sensibilizzazione nei confronti di ciò che sta accadendo in mare è divenuta la foto di un cavalluccio marino che trasporta un cotton fioc. Questo, nello specifico, impiega dai 20 ai 30 anni per decomporsi, ma la cosa davvero sorprendente non è questa. Cosa ci fa un cotton fioc in pieno mare?
Il fotografo ha poi raccontato che la situazione era decisamente peggiore di quello che mostra la singola immagine. Il cavalluccio marino si è ritrovato a nuotare in mezzo ai rifiuti e il fotografo con lui. Ad un certo punto l’acqua era così inquinata che anche l’odore era cambiato, fortemente impregnato dei liquami delle fogne.
Il paguro sull’isola di Wake
Ultimamente c’è un’altra immagine che sta facendo il giro del mondo. Se quella del cavalluccio marino potrebbe sembrare tenera all’inizio, questa seconda immagine mette i brividi già dal primo sguardo.
Ci troviamo sull’isola di Wake, nelle Wikes Island, un atollo corallino nel nord est della Micronesia. Se pensiamo di trovarci in un paradiso incontaminato ci sbagliamo di grosso. Oramai non esiste più alcun paradiso su questo pianeta, basti pensare che tracce di plastica sono state trovate perfino sul fondo della Fossa delle Marianne.
Il video in questione è stato girato da Joseph Cronk, volontario che ogni anno ripulisce le spiagge dell’atollo proprio dai rifiuti.
La testa di una bambola giace silenziosa sulla spiaggia bianca, ma non è un rifiuto come un altro. Un piccolo paguro emerge da questa e si dirige placido verso il mare. Anziché trovare una conchiglia, il paguro ha scelto la testa della bambola come casa.
“Mi capita spesso di vedere paguri e granchi scambiare per conchiglie una grande varietà di oggetti. Vederli dentro le lattine di soda è abbastanza comune, ma in questo caso credo si sia passato davvero il limite”, racconta Joseph.
Nidi di plastica
Ma le specie marine non sono le uniche a subire un’evoluzione che non vorremmo. Anche sulla terraferma la situazione non sembra essere molto meglio.
Esempio lampante sono le specie volatili, che sono solite costruire i propri nidi con ramoscelli caduti e fango, oppure no? Ultimamente in molti sembrano essersi adattati a un mondo di plastica, e i nidi di rifiuti si stanno trasformando in una pratica piuttosto comune.
Sulle nostre Alpi non è insolito imbattersi nei nidi di plastica, eppure ramoscelli e fango dovrebbero essere facilmente reperibili da queste parti. La verità è che le abitudini di queste specie si sono evolute insieme all’inquinamento.
Gli Orioli di Bullock, ad esempio usano i rifiuti di plastica come decorazioni, servono a incoraggiare le femmine. Mentre il Nibbio Bruno ha già la sua compagnia nel momento in cui costruisce il nido. Eppure anche questi sono arricchiti di plastica. Sembrerebbe, infatti, che in questo secondo caso, i rifiuti svolgono un altro compito, quello di allontanare e scoraggiare la concorrenza.
Nella zona di Portovenere, in Liguria, invece, sono state riprese diverse specie di uccelli marini deporre uova nelle reti abbandonate dai pescatori, ma non disdegnano nemmeno rifiuti di altro genere, che, purtroppo, nelle spiagge italiane abbandonano.
Chissà quando finalmente ci renderemo conto che, questa grande invenzione del ‘900, la plastica, sta segnando la fine di questo splendido pianeta.