“Pet therapy” è un termine che abbiamo imparato con il tempo a conoscere, indica una terapia seguita dalle cure amorevoli degli animali da affezione. Il forte rapporto che si crea tra uomo ed animale, non solo avvicina l’essere umano alla natura, ma guarisce le profonde ferite della psiche. Mentre inconfutabile è il bisogno di un cane guida per non vedenti e diversamente abili, un animale che si occupa di ferite o necessità non visibili, desta ancora numerosi dubbi. Eppure la pet therapy sta acquistando sempre più consenso, tant’è che gli animali interessati in questo particolare processo di guarigione iniziano a venir accettati ovunque (aerei, treni, edifici pubblici), proprio al pari di un cane guida. Diversi istituti ospedalieri in Italia, hanno già inserito nella proprio equipe diversi animali da affezione per incrementare la pet therapy ad una normale terapia medica, come il Niguarda di Milano ed il Meyer di Firenze.
I primi esempi di pet therapy
Anche se già negli anni che vanno tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘900 si parla spesso di terapie che hanno visto come protagonisti animali da affezione, non vi è nulla di certo e nessuna storia concreta da raccontare. La prima vera storia di pet therapy che si può raccontare risale al 1956, quando era diffusa una devastante infezione muscolare, che lasciava danni perenni, e spesso portava alla morte, la poliomelite. Proprio di poliomelite si era ammalata una bambina, ricoverata in ospedale per ricevere le cure adeguate, la quale sentiva fortemente la mancanza delle sue compagne di gioco. È così che l’ospedale accettò l’ingresso di alcuni dei primi animali da affezione in una clinica ospedaliera, le sue paperelle. Già alcuni anni prima, però, in un ospedale militare, avevano fatto il loro ingresso diversi animali, per stabilizzare l’umore di alcuni reduci di guerra con forti traumi psicologici. Ma il momento in cui la pet therapy fa un vero salto, suscitando l’interesse di molti e diffondendosi notevolmente, è negli anni ’60, grazie alle teorie ed agli studi di Levison, il quale conia per la prima volta il termine utilizzato ancora oggi, e ne elogia i benefici nel libro “The dog as co-therapist”.
Animali e bambini
Tra chi trae più benefici da questo tipo di terapia, ci sono senza ombra di dubbio i bambini. Inserire un’animale nella fase di crescita di un bambino ha sostanziali effetti benefici. I bambini si sentono decisamente più sicuri di sé nell’affrontare episodi stressanti, come una visita medica od un ricovero ospedaliero, se al loro fianco hanno il loro amico a quattro zampe. Ciò non è solamente una teoria, ma su ogni caso analizzato i risultati sono stati visibili nei parametri fisiologici, quali una diminuzione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. Un altro esempio ci viene da una maestra che ha deciso di aggiungere un alunno alla sua classe: “Quando porto Gaetano, il mio pastore tedesco, i bambini sono più attenti, più consapevoli e volenterosi di affrontare le proprie paure”. L’ospedale Niguarda, invece, ha avviato un programma di ippoterapia, per bambini con gravissime patologie causate da danni cerebrali. Questi bambini, come spiega la dottoressa che se ne occupa, spesso non hanno neppure il controllo del tronco e del capo, eppure andare a cavallo, con l’aiuto dell’assistente, gli permette un maggiore controllo di sé ed un effettivo miglioramento delle proprie capacità motorie.
Animali e terza età
Un’altra categoria che rientra fortemente nel programma di pet therapy è quella della terza età. Gli animali sono ormai molto più che integrati in moltissime case di cure, RSA, centri di accoglienza, ospedali ed addirittura in visite domiciliari. Questi medici a quattro zampe sono spesso essenziali soprattutto in quegli anziani che hanno da poco subito un forte declino e non sono più autonomi come vorrebbero, rischiando di cadere in un vortice di depressione. Inoltre prendersi cura di un animale domestico cura la loro psiche dandogli la possibilità di rendersi ancora utile per un altro essere vivente.