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Corrida – L’Alta Corte Spagnola cancella legge catalana che l’aboliva

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LNDC: “Vergognosa sentenza in nome del “patrimonio culturale immateriale” dello Stato. Strasburgo abolisca la tortura a cielo aperto, il vero coraggio è rispettare la vita, non farla a pezzi per cultura”.

La Corte Costituzionale spagnola ha annullato l’articolo di legge regionale che impone il divieto di corride in Catalogna, approvato dal Parlamento catalano nel 2010.
I giudici supremi – commenta Piera Rosati, presidente della Lega Nazionale per la Difesa del Canegiustificano tale decisione perché l’assemblea catalana sarebbe andata oltre le competenze ad essa attribuite. Noi non la pensiamo così.– precisa la presidente di LNDC – Quella legge di civiltà ha espresso l’opinione popolare largamente diffusa in quella regione, in Spagna e in altri paesi europei, sull’atrocità della corrida, considerata invece ancora parte del “patrimonio culturale immateriale” dello Stato spagnolo dal 2015”.
Sorprendentemente, nonostante la storia e il mondo vadano da tutt’altra parte, verso conquiste sempre più ampie di riconoscimento del diritto alla vita degli esseri senzienti, la Spagna guarda indietro, confondendo una tradizione di incrudelimento con la civiltà. “La corrida è un macello a cielo aperto – prosegue Rosati – con metodi cruenti, violenti e nel totale disprezzo dell’animale, vittima del “coraggio” dell’uomo che lo affronta per infierirgli la pena capitale a pagamento per chi assiste alla festa”.
2010729-58116iwcq_wju1LNDC confida che la Catalogna non faccia marcia indietro, e chiede che il Parlamento europeo e la Commissione europea alzino almeno la voce contro non solo la decisione dell’Alta Corte ma contro la legge spagnola che tutela la mattanza, il sangue.

La Catalogna aveva vietato dal primo gennaio 2012 l’organizzazione di corride sul suo territorio del Nord-Est della Spagna, dopo l’adozione di una legge di iniziativa popolare che aveva raccolto 180.000 firme. La decisione odierna della Corte costituzionale rimette tutto in discussione, ma non pone la parola fine, per fortuna, sul processo di civilizzazione che ha trasformato l’animale, nelle legislazioni e nella cultura, da strumento di gioco e di possesso mortale – per farne ciò che ne se vuole in qualunque modo, dalla tortura alla fine sacrificale in nome di un patrimonio culturale – a soggetto di vita e rispetto.


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